Le chiamano ragazze di carta, sono ossessionate dalla magrezza e per questo fanno in modo di riuscire a indossare vestiti per bambini.
<<Quando avevo sette anni, mia madre mi lavò i piedi, li cosparse di allume e mi tagliò le unghie. Poi mi piegò le dita contro la pianta del piede, legandomele con una fascia lunga tre metri e larga cinque centimetri, cominciando dal piede destro e passando poi al sinistro. Mi ordinò di camminare, ma quando ci provai, il dolore fu insopportabile…>>, emerge un’immagine vivida delle ragazze dai gigli d’oro ben descritte nel libro del 2010 di Lisa See, “Fiore di neve e il ventaglio segreto” . Con loti d’oro o gigli d’oro s’indicano i piedi deformati delle donne cinesi, usanza barbara e per fortuna sradicata in #Oriente a partire dalla prima metà del XX secolo. Un’idea del bello che corrisponde al piccolo, al magro, torna, però, ciclicamente nell’universo asiatico, seppur con forme meno repressive. Certo è che – complici i media e un comparto della #moda che solo negli ultimi anni sta facendo un lavoro più inclusivo sul concetto di bellezza – sono i giovani di mezzo mondo a fare i conti con ideali sotto peso e sicuramente non salutari. Ma c’è da dire che dalla Cina arrivano immagini non proprio edificanti in tal senso. E’ il caso dell’ultima mania delle #ragazzedicarta (le chiamano così): adulte che entrano nei negozi di abiti per bambine e si provano nei camerini t-shirt e pantaloni sotto misura. Il tutto benedetto da una foto ricordo sui social con hastag “adulte che provano vestiti per piccoli” visto su #Weibo 680 milioni di volte.
L’usanza nociva ha coinvolto la catena giapponese #Uniqlo anche. Si entra, si va nel reparto dedicato all’infanzia e si sceglie qualcosa in cui insaccarsi con forza. Alla fine la foto online serve per far vedere a tutti quanto si è magre. Si tratta, dunque, di un’abitudine assurda e che trova il suo fondamento nelle foto di alcune fashion #influencer pubblicate su Little Red Book (una sorta di Instagram e Pinterest insieme). La tendenza xxs ha acceso un dibattito online, in particolar modo sulla versione cinese di Twitter in cui si è evidenziato come molti capi che rimangono nei camerini risultano poi danneggiati, ma soprattutto perché è indice di una società malata e che rincorre costantemente il mito della magrezza.
Tendenze del genere non sono una novità tra le ragazze con gli occhi a mandorla, tant’è che nel Paese è nata l’espressione “BM Style”, di cui ciò che accade nella catena Uniqlo è solo l’ultimo esempio. BM significa #BrandyMelville, il brand di abbigliamento femminile nato in Italia con la sua filosofia “one size-fits-all” ossia un’unica taglia che va bene per tutte. Griffe che, dopo l’apertura del primo negozio a Shangai nel 2019, ha attirato migliaia di ragazze cinesi. E ancora la sfida “girovita a4”: gioco in cui si fa combaciare la larghezza del proprio girovita a quella di un foglio di carta formato A4 (21 cm).
I tempi, ahimè, non sono cambiati rispetto forse a 100 anni prima. A suffragare questa tesi, le parole di Ke Han, psicologo della Nanyang Technological University di #Singapore che ha sottolineato come molte ragazze del posto ritengano che “oltrepassare la soglia dei 50 kg significhi essere pigre e non prendersi cura di loro stesse: una cosa che potrebbe pregiudicare perfino le loro prospettive di trovare un marito”.
Per fortuna, è arrivata una spinta al “body positive” da parte di Zhang Meng, una delle attrici più famose in Cina. La star ha raccontato sui social che, durante una cerimonia, un corsetto era talmente stretto da poterle quasi rompere una costola. “Il nostro aspetto è solo una parte di noi stesse. Invece di continuare a lamentarci che non siamo abbastanza magre è meglio spendere il proprio tempo per imparare cose nuove, arricchendo noi stesse e diventando più sicure”.
Fonte: [La Repubblica]